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Moda

La fast fashion e l’impatto ambientale della produzione tessile

Quali segreti cela il mondo della moda? Oltre le passerelle e le vetrine luminose, c’è un lato oscuro che si nasconde dietro ogni capo, dalle fibre di cotone ai tessuti sintetici.

La produzione tessile, con il fenomeno della moda veloce, è ormai uno dei maggiori responsabili dell’inquinamento globale, un impatto che va ben oltre il semplice consumo di vestiti e tendenze. Questo sistema alimenta una filiera che consuma enormi quantità di risorse naturali e crea rifiuti difficili da gestire. Dietro l’apparente accessibilità di capi a basso costo, si nasconde un costo ambientale devastante. La Commissione Europea, consapevole di questa emergenza, ha iniziato a mettere in atto strategie per invertire la tendenza, puntando a una moda più responsabile entro il 2050.

La fast fashion e l’impatto ambientale della produzione tessile (Dromedesign.it)

La fast fashion, con il suo continuo ciclo di produzione e smaltimento, ha creato un modello basato su capi che non durano, spingendo i consumatori a rinnovare il guardaroba a ritmi frenetici. Questo ha portato a un uso eccessivo delle risorse naturali, a partire dall’acqua, indispensabile per la coltivazione del cotone, una delle fibre più diffuse. Si stima che per produrre una sola maglietta di cotone siano necessari ben 2.700 litri d’acqua, una quantità che potrebbe soddisfare le necessità di una persona per oltre due anni. Oltre all’acqua, anche il terreno viene sfruttato in modo intensivo per la produzione di fibre tessili, rendendo il settore tessile una delle maggiori fonti di degrado ambientale in Europa e nel mondo.

Le conseguenze della fast fashion sotto gli occhi di tutti

La produzione tessile non è solo una minaccia per le risorse naturali, ma è anche tra i principali responsabili dell’inquinamento idrico globale. I processi industriali come la tintura e la finitura dei tessuti rilasciano ogni anno milioni di litri di acqua contaminata, ricca di sostanze chimiche tossiche, che spesso finiscono nei corsi d’acqua, influendo su interi ecosistemi. Il problema è aggravato dal lavaggio dei capi in poliestere e altri materiali sintetici, che rilasciano nell’ambiente microplastiche: ogni carico di bucato può rilasciare fino a 700.000 fibre di microplastica, le quali si accumulano nell’ecosistema marino, finendo nella catena alimentare. Questo fenomeno è amplificato dalla moda veloce, che incoraggia acquisti frequenti e capi di breve durata, aumentando così il volume di microfibre rilasciate.

Le conseguenze della fast fashion sotto gli occhi di tutti (Dromedesign.it)

Oltre all’inquinamento delle acque, il settore tessile contribuisce in modo significativo anche alle emissioni di gas serra. Nel 2020, si stima che gli acquisti tessili nell’Unione Europea abbiano generato circa 121 milioni di tonnellate di CO₂, con una media di 270 kg per persona. La cultura dell’usa e getta, ormai parte integrante della moda veloce, porta i consumatori dell’UE a utilizzare quasi 26 kg di tessili all’anno, con circa 11 kg che finiscono nei rifiuti. Anche quando vengono raccolti, questi capi spesso non sono riciclati ma finiscono in discariche o inceneriti, mentre solo una minima parte – meno dell’1% – viene riutilizzata per creare nuovi tessuti.

Cosa può fare l’Unione Europea di fronte a questo fenomeno?

Per affrontare queste sfide, l’Unione Europea sta promuovendo una nuova visione di moda sostenibile e circolare. La chiave è passare da un modello basato sul consumo rapido e usa-e-getta a uno che privilegi la durata e il riciclo dei tessuti. Le nuove strategie europee puntano a modificare il design dei prodotti tessili, rendendoli più duraturi e facilmente riciclabili. Tra le iniziative c’è l’Ecolabel UE, che permette ai produttori di contrassegnare i loro prodotti con un’etichetta ecologica, garantendo che il capo sia stato realizzato rispettando criteri ambientali rigorosi, limitando l’uso di sostanze nocive e riducendo l’impatto ambientale.

Nel marzo 2022, la Commissione Europea ha fatto un ulteriore passo avanti, introducendo una nuova strategia per tessili sostenibili, che include requisiti di progettazione ecocompatibile e un passaporto digitale per ogni prodotto, con l’obiettivo di fornire ai consumatori informazioni dettagliate sull’impatto ambientale di ogni capo. A partire dal 2025, tutti i paesi dell’UE saranno obbligati a raccogliere separatamente i rifiuti tessili, promuovendo il riutilizzo e il riciclo. Con queste misure, l’UE spera di migliorare la gestione dei rifiuti tessili e di promuovere la responsabilità estesa del produttore, imponendo ai produttori di coprire i costi relativi allo smaltimento e al riciclaggio dei loro prodotti.

Questi cambiamenti rappresentano solo l’inizio di una trasformazione radicale, ma sono necessari per arginare i danni causati dalla moda veloce. Con un impegno congiunto tra istituzioni, produttori e consumatori, si può arrivare a un modello di consumo sostenibile che preservi l’ambiente e rispetti le risorse naturali. L’obiettivo dell’UE è creare un futuro in cui il settore tessile non sia più una minaccia ambientale, ma un esempio di sostenibilità, puntando a prodotti che durano nel tempo, promuovendo il riutilizzo e il riciclo, e riducendo drasticamente i rifiuti.

Gabriele Mastroleo

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